I pesci “sentono”: quanto dolore sopportano prima di morire?
Un recente studio firmato Welfare Footprint Institute e pubblicato su Scientific Reports scuote un pregiudizio antico: molti pesci provano dolore intenso, soprattutto quando vengono catturati e uccisi con metodi crudeli.
Gli autori hanno applicato un nuovo sistema di misurazione — noto come Welfare Footprint Framework (WFF) — per quantificare la sofferenza degli animali: non una stima vaga, ma “minuti di dolore” per chilogrammo di peso.
I numeri: una stima agghiacciante
Nel caso della Trota iridea (Oncorhynchus mykiss), la media stimata è di circa 10 minuti di dolore intensodurante l’asfissia. In alcuni casi — dipendendo da fattori come la dimensione e la temperatura dell’acqua — questa sofferenza può oscillare tra 2 e 22 minuti.
Tradotto su scala “per chilogrammo”, il risultato è spaventoso: circa 24 minuti di sofferenza per ogni kg di pesce.
Il volume è enorme: ogni anno, vengono uccisi fino a 2,2 trilioni di pesci selvatici e 171 miliardi di pesci d’allevamento secondo le stime citate nello studio.
Perché molti pensavano che “i pesci non sentissero”
Per decenni, la credenza dominante sosteneva che i pesci — per via di un sistema nervoso diverso dal nostro — fossero incapaci di provare dolore come lo intendiamo noi. Alcuni studi affermavano che i loro comportamenti erano semplici riflessi, non esperienze consce.
La questione non è solo biologica ma anche filosofica: cosa significa “sentire dolore” per una creatura che vive in un mondo molto diverso dal nostro? Questa incertezza ha spesso giustificato metodi di pesca e uccisione che ormai, grazie a ricerche come questa, risultano scientificamente ingiustificabili.
Ma lo studio non si limita a far luce sul problema: suggerisce anche soluzioni
Gli autori non si sono fermati a quantificare la sofferenza. Hanno indicato anche tecniche alternative e più “umane”che potrebbero drasticamente ridurre il dolore:
Lo stordimento elettrico, se eseguito correttamente, potrebbe fare risparmiare ai pesci da 60 a 1 200 minuti di sofferenza per ogni dollaro investito.
Anche lo stordimento per percussione è identificato come un’opzione con elevato potenziale di miglioramento del benessere animale, se applicata in contesti commerciali.
Lo studio evidenzia infine che non è solo “il momento finale” a contare: trasporto, manipolazione, stress pre-uccisione possono aumentare notevolmente la sofferenza complessiva.
Ripensare il modo in cui trattiamo il pesce: non solo etica, ma responsabilità
Questo studio è un campanello d’allarme per chi pesca, per l’industria alimentare, per chi consuma — e in generale per la società. Per troppo tempo abbiamo normalizzato pratiche crudeli perché “si facevano così”, ignorando il fatto che dietro quelle azioni c’è un essere senziente che può soffrire.
Il nuovo paradigma scientifico — grazie a strumenti come il WFF — ci impone di riconsiderare la presenza del pesce sulle nostre tavole non come una cosa scontata, ma come una scelta che ha implicazioni morali serie.
Non si tratta solo di essere “più buoni”: si tratta di allineare le nostre azioni con la consapevolezza che la sofferenza non è un problema marginale, ma un costo reale che tanti esseri viventi pagano ogni giorno.